L’Africa e la cattiva cooperazione

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Animo Onlus
La migliore cooperazione possibile per aiutare l’Africa sarebbe il ritiro immediato del Nasara, l’“uomo bianco” nel dialetto Mossì, dal continente. In attesa di questo esodo biblico che porrebbe fine all’oltraggioso sfruttamento economico di cui i popoli africani sono violentemente oggetto da secoli, noi che viviamo da quest’altra parte della luna non possiamo certo voltare lo sguardo fingendo nulla.
L’intera Africa sta attualmente vivendo una crisi drammatica. Carestie, epidemie e guerre sono all’ordine del giorno e l’allarme è continuo in molte zone. Per farsi un’idea del disastro attualmente in corso consiglio di visitare il sito web www.emergenzaafrica.it. Bisogna intervenire e in verità tutto l’universo multiforme della cooperazione internazionale lo sta facendo senza riserve seppur indebolito dalla forte crisi economica che sta interessando tutto l’occidente.

Il dubbio che qui si pone riguarda più che altro la strategia d’intervento. L’approccio giusto dovrebbe mirare a una cooperazione riparatrice più che rivelatrice. Si dovrebbe aver cura solamente di risolvere i problemi contingenti e predisporre le fondamenta per una rinascita socioeconomica accogliendo le richieste delle popolazioni locali senza porre limiti o veti di natura tecno-economica a tali richieste.
Al contrario buona parte della cooperazione si muove ancora in maniera militante con la speranza, il più delle volte involontaria, di lavorare per favorire/imporre alle popolazioni africane il nostro modello di sviluppo e i nostri stili di vita. Mi raccontava qualche giorno fa una mia amica appena di ritorno dal Burkina Faso che la direttrice dell’orfanotrofio in cui era in visita possedeva un computer donatole da qualche organizzazione umanitaria. La signora lo teneva acceso tutto il giorno (anche la notte) anche se ci lavorava pochissimo non conoscendo la maggior parte dei software. Tale spreco contribuisce ad aumentare il costo della bolletta elettrica che ogni mese l’orfanotrofio fatica a saldare. È giusto fornire questo genere di strumenti senza un’adeguata formazione tecnica? Non è una violenza? Non è un atto teso a diffondere il nostro modello di sviluppo a popolazioni che forse per storia e cultura avrebbero maturato un’altra via di progresso?

Al di là di questo piccolissimo esempio questo genere di cooperazione perpetra sotto mentite spoglie l’imperialismo che fino ad oggi ha contribuito a distruggere la cultura e l’economia africana. Fortunatamente in Africa sono presenti ancora villaggi che vivono esperienze comunitarie in un rapporto diretto e forte con i cicli della natura, la quale non è rimossa e deturpata come qui in occidente, ma è elemento centrale e irrinunciabile della vita sia quando è benigna sia quando è maligna. Questo mondo non ancora compromesso del tutto con il capitalismo globalizzato deve tornare libero e decidere da solo il suo destino. La buona cooperazione anziché omologare dovrebbe favorire autonomamente questo processo virtuoso di emancipazione sociale, economica e politica. Anche perché, ad esser franchi, i nostri metodi di produzione inquinanti, gli assurdi stili di vita che proponiamo e l’idea di benessere basata sul denaro sono tutto fuorché un esempio di civiltà da esportare.

di Gianfranco Marcucci

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